La sua voce, un grido nel deserto di un’Europa ferita, risuona ancora. “La pace è ferita, violata, calpestata… siamo nella terza guerra mondiale”. Parole che non sono solo eco di un conflitto, ma lamento di un’umanità che si auto-distrugge.
Papa Francesco, sentinella di un mondo in fiamme, ha levato il suo bastone contro l’assurdità della guerra, contro le “fabbriche di armi che fanno guadagnare con la morte”.
Ha pianto i bambini, “sacrificati agli idoli del potere”, anime innocenti inghiottite dalle bombe, vittime di un odio che non conosce pietà.
Ha messo in guardia contro “dinamiche mediatiche” che induriscono i cuori, che trasformano il dolore in indifferenza.
Il suo era un appello disperato, un tentativo di risvegliare la coscienza sopita di un continente che ha dimenticato le cicatrici del passato.
In queste frasi, non c’è solo condanna, ma anche un amore profondo per l’uomo, un’invocazione a riscoprire la nostra umanità, a scegliere la vita invece della morte, la fratellanza invece della guerra.
Un testamento spirituale, un’eredità di pace in un mondo che sembra averla smarrita.



