Intervista – Nel mondo di Carlo Alberto Palumbo: Arte e Anatomia in pittura che scarnifica la materia

Arte e Anatomia. Insegnamento e Ricerca. Equilibrio e Mito. Sono la triade espressiva del mondo concettuale dell’artista di origini partenopee, Carlo Alberto Palumbo, pittore di fama internazionale e Docente di Disegno dal vero, Anatomia artistica, Tecniche pittoriche e Pittura presso l’Accademia di Belle Arti G.B. Tiepolo di Udine. Esperienza didattica questa, preceduta dall’insegnamento presso la In Form of Art, scuola d’arte in cui sono riproposte le metodiche tradizionali delle botteghe del ‘400 e ‘500 e dalle Accademie del XVIII e XIX secolo.

Uomo in costante dialogo con la propria interiorità, l’artista trasferisce su tele di grandi dimensioni e in cicli pittorici,  la sua ottica di analisi dell’oltre canonizzato tra onirico, alchemico, classicismo tematico e fantasia. Lo fa attraverso l’uso sapiente della sinuosità delle linee dei corpi, collocate in un ordine prospettico che mette in linea l’osservatore con se stesso e con il tema del dipinto, ancorandolo alla sua reale struttura, fino a spingerlo a familiarizzare con l’evoluzione paradigmatica della tematica a cui la tela tende.

Nei suoi dipinti Carlo Alberto Palumbo riesce a scarnificare i soggetti, gli elementi rappresentati, rendendo la composizione materica circonvoluzione tanto della dimensione onirica, quanto di  quella terrena che non dimentica l’oltre che la alimenta. I dipinti hanno una centralità strutturale evidente, un’ architettura predefinita, sentita come esigenza, atto di immediatezza ed equilibrio fortemente voluto. Nel rigore compositivo delle proporzioni ben rese, si concentra lo sguardo di chi osserva e inevitabilmente si canalizza il mondo interiore, tanto del fruitore dell’arte, quanto del significato dell’opera che arriva limpidamente al fruitore dell’immagine. L’approccio artistico di Palumbo produce dunque un sapere nuovo, profondo; recuperando il linguaggio dell’arte antica con soluzioni che lasciano intravedere attraverso i corpi, la trasparenza della loro vera essenza. Da pittore e uomo che incarna con la sua produzione una istintualità artistica originale, Palumbo rende sollevabile la materia, proiettandoci in una spiritualità terrena, che si fa nuova dimensione.

INEL MONDO PITTORICO DI CARLO ALBERTO PALUMBO – L’ INTERVISTA

-Carlo Alberto, quando ha scoperto di avere il dono dell’Arte?

Questo mio dono credo sia frutto inizialmente di incoraggiamento familiare. Quando si è piccoli si inizia a disegnare ed avere persone intorno che  magari ti spronano, portando un talento acerbo a sbocciare. Inizialmente ho cercato di sviluppare fortemente l’aspetto tecnico-grammaticale dello strumento pittorico. In questo tipo di linguaggio, anche se hai dei concetti importanti, se non li riesci ad esprimere correttamente, non arrivano. Il messaggio resta nella sfera di chi lo produce. L’idea è invece quella di farlo giungere all’osservatore. Quindi è importante che ci sia una conferma non solo familiare, ma anche esterna per incentivare la produzione artistica. Ho studiato al Liceo Artistico, dove ho trovato un buon riscontro, ed anche all’ Accademia di Belle Arti di Napoli, il professore mi ha dato gli stimoli importanti per credere nel mio dono. Lì ho sentito per certi versi di essere autorizzato a fare arte. Se anche un professore mi stava dando conferma di quel che pensavo, allora avrei potuto fare quello che pensavo di realizzare.

-C’è un motivo ricorrente che ritrova nella sua pittura? Uno squarcio di luce, un riferimento simbolico che cerca sempre di inserire in un dipinto?

Il filo conduttore di ogni mia opera è l’anatomia della figura umana nuda. Il corpo umano diventa dunque uno strumento espressivo. Quando dipingo parto con un’idea da trasmettere che non è connessa necessariamente al risultato finale, ma si palesa successivamente. Parte il concetto, e poi si inizia a trovare la soluzione del racconto con l’utilizzo del corpo umano. In alcuni casi mi sono chiesto se non fosse poi un meccanismo opposto ad animare la mia pittura, per cui la tematica fosse il pretesto per raccontare la figura umana, più che il contrario. In realtà i due aspetti sono molto connessi. Diversamente, si cadrebbe in pura retorica. Ad un certo punto mi sono discostato anche dal desiderio di risolvere le superfici. Ho iniziato a ricercare un tipo di pittura, nella gestione della materia, nella pennellata, con forme espressive che potessero far leggere il quadro da un punto di vista materico-compositivo. Mi sento un pittore figurativo e continuo ad avvertire l’esigenza di raccontare la figura in modo realistico.

-Cosa ha imparato dallo studio della restituzione dell’anatomia umana in termini quasi alchemici?

Il corpo umano è un’armonia di elementi. E’ come se all’interno della figura umana esistessero delle forme archetipali estetiche che hanno un rimando con l’alchimia. Di sicuro lo studio dell’anatomia ti permette di rendere queste forme in maniera più consapevole, inserendole in un processo creativo che incanala le energie. Il discorso alchemico si sposa bene con l’opera pittorica, perchè ti porta a sviluppare processi di analisi, di profonda introspezione che si avvicina all’idea del percorso dell’alchimista. Di per sè il pittore assume quasi una valenza artistica simile a quella di una creatura divina, ragion per cui esistono aspetti spirituali nella pittura che rimandano a questi concetti.

– La luce, in questo suo universo espressivo, in che modo cerca di modularla? Dove e come la lascia entrare sulla tela?

Da un punto di vista narrativo la luce deve in qualche modo avvicinarsi all’idea da trasmettere. La scelta della cromia e dunque della luce, è funzionale al tema pittorico. Quando inizio a concepire un lavoro, visualizzo spontaneamente delle immagini nella mia mente, pensando già a come potrebbe essere illuminata la composizione. La luce è parte integrante fin dalle prime fasi di un lavoro pittorico. 

– Immaginando che il suo pennello sia un bisturi, qual è l’urgenza tematica attuale che intende mettere in risalto in pittura?

Gli ultimi lavori erano incentrati sulla poetica del mito, quasi come se sentissi l’esigenza di ricreare un mondo di eroi. Mi sono mosso spesso con tematiche più disparate, preferendo realizzare cicli pittorici  e non singoli lavori. Per questo quando inizio a lavorare su un soggetto, esso farà parte di una serie di dipinti che verranno dopo. Intendo la pittura come qualcosa che si esprime attraverso più immagini. Il concetto spesso non viene sufficientemente espresso attraverso un unico elaborato; questo mi spinge ad analizzare un tema da adottare, sotto più aspetti. La ripetizione tematica deriva dunque da una mia esigenza di approfondimento di un’idea, rappresentata con più sfumature. 

-A quale ciclo pittorico è più legato e a quale vorrebbe dare nuova continuità, se potesse?

Il ciclo pittorico a cui sono legato fu realizzato anni fa e dedicato al tema dell’amore. Lo intitolai “Ama”. Contiene alcune declinazioni della poetica amorosa, del modo in cui ci si rapporta nella coppia. E’ un ciclo che in realtà non ho mai completato con i pannelli di cui feci anche i cartoni preliminari. Su di esso vorrei ritornare per chiudere ed ampliare il tema dell’amore di per sè vasto. Ogni tematica la vivi in un determinato modo in un frangente della tua vita, e magari dopo la percepisci diversamente. Per questo si ha poi l’esigenza di approfondirla e scoprirla in una luce nuova.

-Lei insegna anche in Accademia. Si sente più Maestro da bottega o docente che cerca di educare a livello filosofico attraverso il disegno?

L’aspetto del maestro che trasmette una poetica, un modo di pensare l’esistenza anche in chiave filosofica, è qualche cosa che ho sempre cercato di evitare. L’idea della bottega può essere un modo per creare un legame discepolare di trasmissione del sapere. Fermo restando che la pittura è di per sé una scelta esistenziale e che chi la intraprende traccia già una filosofia di base che accompagna il suo sviluppo. Nell’Accademia vivo un rapporto scolastico con classi numerose e in alcuni casi si crea un rapporto naturale con dinamiche discepolari. Sono molto legato agli allievi, all’aspetto dell’insegnamento della mia disciplina che credo possa dare molto a tutti i livelli. La creatività ci appartiene come esseri umani e ritengo ci sia nell’insegnamento anche una questione etica nel poter trasmettere qualcosa che può fare stare bene l’altro, quasi come una terapia. Credo nella massima che il maestro compaia quando se ne ha bisogno e la persona è disposta a ricevere degli insegnamenti. Un buon maestro deve infatti dare gli strumenti necessari affinchè l’alunno possa emergere nella sua specificità. 

Se potesse andare indietro nel passato, di quale Maestro di bottega vorrebbe essere discepolo? 

Nella risposta immediata direi Caravaggio, ma probabilmente, da un punto di vista tecnico sarei orientato più per de Ribera o Bouguereau. Avrei sicuramente cercato di carpire il più possibile guardandoli lavorare, e non mi sarebbe certamente dispiaciuto che mi spiegassero le ragioni del loro dipingere. Questa è una cosa che ho cercato di applicare anche nell’insegnamento. Si parla tanto di pittura, ma gli allievi non hanno modo di vedere il maestro dipingere. Per me invece è fondamentale che vedano ciò di cui parlo. Ragion per cui dipingo a lezione mostrandogli l’aspetto manuale, pratico. 

– Ha dichiarato che la pittura le ha permesso di conoscere la sua vera natura. Qual è la sua vera natura pittorica oggi?

Oggi sento fortemente l’esigenza di concentrarmi molto sull’aspetto compositivo-progettuale. Il lavoro non è più semplicemente la materia pittorica che si colloca sulla tela, cosa che invece diventa il momento conclusivo. Il mio lavoro oggi è più ragionato. Questo è dovuto al fatto che insegnando ho meno tempo per dipingere e quando ci riesco, realizzo lavori più articolati che mi diano soddisfazioni. Successivamente cerco un’armonia cromatica, luminosa. Intendo rappresentare un corpo umano, un oggetto, una natura morta, in una scena che non abbia niente che stoni. Un quadro ben dipinto non è detto che funzioni, perchè l’aspetto tecnico non garantisce che l’opera sia bene equilibrata, che emotivamente trasmetta la giusta narrazione della tematica. 

 Nelle sue opere si palesa l’onirico. Esso è più vicino al sacro o al profano quando dipinge?

Credo di viverlo in maniera più sacra, sognante, fantastica, in connessione con una sfera non sensibile. Tutto ciò che ha a che fare con la sfera creativa del sognato, dell’immaginario è legato ad una spiritualità che sento necessaria. Così come sento necessario l’uso di un equilibrio prospettico del dipinto.  

-Cos’ è per lei la fantasia e come crede si possa educare l’uomo a non perderla?

Nasco come appassionato lettore di romanzi fantasy. Mi sono poi avvicinato al fumetto al termine degli studi accademici. Sono stato nutrito dalla fantasia fin da piccolo; ho partecipato per anni ai giochi di ruolo. Sono sempre stato connesso a una creatività che si discostasse dall’aspetto più contemporaneo dell’esistenza, ma fosse connessa a un qualcosa che potesse essere eternizzato. Molta della letteratura fantasy si appoggia alla mitologia, alle credenze. Sicuramente in una fase di costruzione della fantasia, la lettura è la cosa fondamentale che la alimenta. Leggendo non a caso, si vivono tantissime vite, si attraversano vari mondi. Nella fantasia mi ci sono calato proprio completamente tra lettura e giochi di ruolo. La lettura è dunque la chiave per accedere alla crescita creativa. E poi tutto il mondo dell’intrattenimento è un ambito in cui si può pescare per alimentare la fantasia.

– Riferendoci alle sue origini partenopee, quali sono le influenze della sua terra di cui tiene conto nella pittura che produce? Se potesse, come raffigurerebbe Napoli in chiave realistica o onirica?

Al di là del passaggio di Caravaggio a Napoli che ha trasformato la produzione artistica della città quando vi è arrivato, da cui sono rimasto profondamente influenzato; di Jusepe de Ribera che ha vissuto a Napoli per tanti anni affascinandomi con la sua produzione seicentesca, sono legato anche a Domenico Morelli, Luca Giordano e in generale alla pittura prodotta tra ‘600 ed ‘800. Napoli invece, la raffigurerei come uno scugnizzo in chiave realistica. In chiave onirica mi aggancerei invece a qualcosa di misterico ed esoterico.

– In che modo concilia libertà e ribellione nella sua arte?

Penso che la libertà si vive quando si hanno gli strumenti per farlo, perchè altrimenti diventa casualità. La libertà è riuscire ad articolare il linguaggio dinanzi a una tela, senza avere l’esigenza di un modello di riferimento. Mi sento fortemente libero quando disegno su fogli di grande dimensione, senza avere un progetto di base. Questo è lo stato che vivo in assoluto: stare davanti alla superficie riempendola secondo il fluire del momento. Non credo invece che la ribellione sia necessaria per la mia persona. Reputo più importante essere se stessi. Piuttosto occorrerebbe sganciarsi da aspettative esterne, cosa connessa al discorso della libertà. Sei libero quando segui la tua natura, senza la necessità di doverti ribellare. Tutto è legato al conoscersi veramente. Quando sei in contatto con la tua natura, quella diventa la tua unica strada percorribile e a quel punto la ribellione è già la tua identità che si manifesta.

– Come vive invece il concetto di trasformazione attraverso la pittura?

Credo sia un dialogo. La pittura da un lato ti trasforma; dall’altro sei tu che la trasformi a seconda dei tuoi cambiamenti. Quando dipingo vivo uno stato psichico che in qualche maniera mi rigenera, mi fa stare bene. Il non dipingere lo vivo come qualcosa di stressante. Pertanto sono legato alla necessità di dipingere e la pittura rappresenta anche il mio cambiamento nel tempo.

– Qual è il suo monito umano ed artistico?

Artisticamente penso di suggerirmi e suggerire anche agli allievi di non fermarsi, di non scoraggiarsi, perchè questo è un ambito in cui, specialmente all’inizio, le soddisfazioni arrivano col contagocce e sono temporanee. La vera soddisfazione non deve risiedere poi nel riconoscimento, nel premio, nella mostra. Deve essere nel dipinto che quando viene realizzato ci soddisfa.

Lo stesso atto di dipingere già è un premio che ci stiamo concedendo. Il momento pittorico è l’obiettivo; tutto quel che arriva dopo ne è la conseguenza. Il monito umano è quello di non salire su un piedistallo, di vivere la pittura in maniera non competitiva perchè il bello può essere prodotto anche da qualcuno che non siamo noi. Poter avere modo di leggere anche nelle opere altrui, la bellezza mi rende felice.

Non bisogna mai sentirsi al di sopra degli altri. Ciò che l’altro produce non mi toglie nulla, bensì aggiunge alla mia vita. Questo è sicuramente l’aspetto umano più importante: vedere la creazione di altre persone come esperienza del bello che ci completa. E’ ciò che dovremmo ricercare nell’esistenza. 

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Pina Stendardo
Pina Stendardo
Giornalista attenta ai fermenti quotidiani, raccontati con umanità. Convinta che scrivere sia un atto d’amore e responsabilità, ama divulgare il bello dell’Arte e del sociale, proponendo una narrazione alternativa sullo spaccato culturale.

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